Cassata siciliana, la vera storia

Dagli Arabi alle monache, passando per il grande pasticciere palermitano Salvatore Gulì, che ne codificò la versione più famosa nel 1873. Ecco l’evoluzione di uno dei nostri dolci più amati.

Il più famoso, assieme al cannolo, dei dolci dell’isola. “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” (“Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”), recita un antico detto dell’isola. E, in effetti, che sia a Pasqua o sia a Natale, da Trapani a Siracusa, come dire di no a questo straordinario e barocco trionfo di dolcezza? Tuttavia, tra un boccone e l’altro, è interessante capire anche l’origine di questa bontà e la cultura che l’ha originata.

Cassata, quella dolce bacinella da cui tutto iniziò. Da dove arriva, allora, la cassata? Il percorso di questo dolce ricalca quello di altre specialità, nate siciliane e che poi si sono irradiate in tutta Italia. Come è stato per la pasta, per le arancine, per il gelato, per la pasta di mandorle e perfino per l’allevamento del bufalo d’acqua e, in parte, per il torrone. È infatti alla Palermo del periodo arabo che bisogna risalire, in quella che all’epoca (XI secolo) era la città più grande d’Europa. Gli Arabi avevano importato nell’isola vari prodotti: dal pistacchio agli agrumi, dalla mandorla alla canna da zucchero. Secondo la tradizione, una notte un pastore decise di mescolare la ricotta di pecora con lo zucchero o il miele. E chiamò questo dolce “quas’at” (“bacinella”), dal nome della ciotola in cui era contenuto l’impasto. Successivamente, alla corte palermitana dell’emiro in piazza Kalsa, i cuochi decisero di avvolgere l’impasto in una sfoglia di pasta frolla, da cuocere poi in forno. Nacque così la cassata al forno, la più antica delle versioni di questo dolce.

Cassata siciliana, dal forno alla zuccata.

La coloratissima variante oggi conosciuta al grande pubblico è il risultato di un’evoluzione proseguita in epoca normanna con l’invenzione, presso il convento della Martorana a Palermo, della pasta reale (o pasta martorana), a base di farina di mandorle. Il termine “cassata” si incontra per la prima volta nel XIV secolo, nel Declarus di Angelo Sinesio, il quale definiva la cassata come “cibo composto da pasta di pane e formaggio”. Nel Settecento, da Genova, arrivò il pan di spagna a sostituire la pasta frolla; alla ricotta vennero aggiunte scaglie di cioccolato e con la pasta martorana vennero create delle decorazioni alle quali si aggiunsero anche quelle create con la frutta candita (e, in particolare, la “zuccata” a base di zucca) e la glassa di zucchero: siamo così arrivati alla coloratissima cassata che oggi conosciamo, “codificata” nel 1873 dal pasticciere palermitano Salvatore Gulì. Fu proprio lui a introdurre nella ricetta la “zuccata”, coltivata dalle abili suore della Badia del Cancelliere di Palermo. Tuttavia ancora nel 1853, come testimonia il Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, per “cassata” si intendeva prevalentemente quella al forno, mentre quella ricoperta di glassa e frutta candita si affermerà solo a partire dalla fine del XIX secolo. La cassata come dolce di Pasqua era però già una realtà: già nel 1575, il sinodo della diocesi di Mazara del Vallo aveva proclamato la cassata come pietanza ufficiale della festa, vietando ai vari ordini monacali di prepararla durante il periodo che precedeva la festa religiosa, per non incorrere in tentazione. Fuori dall’isola. la variante più famosa è certamente la cassata napoletana, meno decorata e con pan di Spagna bagnato con lo Strega o con il maraschino.

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